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di Federica Orlandi

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La terapia cognitiva comportamentale per la dipendenza affettiva

Oggi vogliamo parlarvi di come la terapia cognitiva comportamentale possa aiutarvi con la dipendenza affettiva e con tutti i suoi sintomi.

Come abbiamo visto nel precedente articolo la guarigione dalle dipendenze, e quindi anche da quella affettiva, è un processo lungo e complesso che può richiedere diverso tempo.

Senza ombra di dubbio, possiamo dire che i presupposti fondamentali sono il riconoscimento di questa forma di dipendenza.

Inoltre, altri elementi fondamentali sono la presa di coscienza delle conseguenze alle quali ha portato o potrebbe portare e soprattutto la volontà di intraprendere un percorso di cambiamento.

Potete ben immaginare come tutto questo appena detto, richieda una grande dose di coraggio iniziale perché nella maggior parte dei casi questo porta a terminare la relazione disfunzionale e cominciare a gestire i sintomi dell’astinenza.

Le diverse fasi in cui si compone la terapia cognitivo comportamentale per la dipendenza affettiva:

  • Valutazione e formulazione del caso
  • Concettualizzazione del caso
  • Training sull’assertività
  • Accettazione e gestione delle emozioni dolorose

Valutazione e formulazione del caso

In questa prima fase, il terapeuta e il paziente ripercorrono la storia della relazione attuale e di quelle passate. Cercando di delineare, così, gli eventi che hanno condotto il paziente all’instaurarsi di credenze di non amabilità.

Inoltre, viene fatta un’ulteriore analisi della dipendenza affettiva usata come modalità per colmare e compensare queste credenze.

Vengono fissati gli obiettivi a breve, medio e lungo raggio e viene predisposta una rete di sostegno per il paziente.

Individuare una serie di persone fidate che possano sostenerlo e aiutarlo è fondamentale per la prima fase dell’astinenza.

Concettualizzazione del caso.

Una volta che si è arrivati alla consapevolezza del disturbo, alle dinamiche e ai circoli viziosi possiamo dire di aver riconosciuto i meccanismi della dipendenza da parte del paziente.

Questo è un passo fondamentale perché ci permette di capire come si possa gestire delle eventuali ricadute.

In questa fase della terapia cognitivo comportamentale ci si focalizza sulla ristrutturazione delle credenze disfunzionali che sono legate al concetto di amabilità e, ovviamente, sulla gestione delle emozioni.

In particolar modo, su quelle legate alla paura della solitudine, del rifiuto e dell’abbandono.

Il terapeuta, quindi, aiuta il suo paziente a modificare le aspettative che risultano irrealistiche sull’amore.

Training sull’assertività

In questa fase, viene presa in esame la capacità di riconoscere ed esprime le proprie emozione e i propri bisogni.

Si inizia a costruire un sé più solido e una migliore autostima.

La terapia prevede degli interventi diretti che sono volti ad aiutare il paziente a interrompere vecchi pattern d’azione.

Un esempio è quello di non intraprendere nuove relazioni prima che si siano riconosciuti i propri bisogni; stabilire dei confini personali e soprattutto di riconoscere i segnali di allarme nei comportamenti abusanti del partner.

Accettazione e gestione delle emozioni dolorose

Eccoci all’ultima fase della terapia cognitivo comportamentale, qui dopo che la relazione terapeutica è consolidata, bisogna concentrarsi maggiormente sull’area complessa della dipendenza affettiva.

Bisogna lavorare sui sentimenti come la colpa, il rimorso o la vergogna. Questo perché vengono fatti emergere all’interno del setting protetto della seduta e gradualmente accettati come parte di sé.

Le tecniche di Midfulness, in alcuni casi, possono essere integrati nella terapia cognitivo comportamentale perché sono di grande aiuto per gestire la consapevolezza delle proprie emozioni nella relazione, sia che questa sia attuale o passata.

Ora conoscete meglio questo argomento molto complesso e sapete soprattutto come la terapia cognitiva comportamentale vi possa aiutare.

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I sintomi della dipendenza affettiva

Dopo avervi parlato della dipendente affettivo tipico, vogliamo affrontare meglio il tema dei sintomi della dipendenza affettiva.

Dovete sapere che nelle prime fasi dell’innamoramento, si possono manifestare diversi sintomi che sono correlati alle dipendenze, sia quelli da sostanza che comportamentali come ad esempio:

  • euforia;
  • astinenza;
  • tolleranza;
  • dipendenza fisica e psicologica;
  • ricaduta.

L’amore potrebbe essere, quindi, paragonato a una sostanza d’abuso che come le altre sostanze crea una dipendenza.

Quando ci troviamo in una relazione, questa stimola le nostre aree celebrali che sono legate alla ricompensa, che è la stessa cosa che fanno le droghe.

Mentre, quando chiudiamo una relazione, i nostri sentimenti potrebbero essere ansia e depressione, come nell’uso delle droghe.

Queste risposte emotive, sia nel caso positivo che negativo, possiamo dire che si legano con le reazioni fisiche.

Tutto questo crea una potente spinta verso il voler instaurare o mantenere una determinata relazione affettiva.

La relazione, non è più solo amore, ma diventa l’obiettivo e la ricompensa che consentirà alla persona dipendente di ridurre la sua sofferenza e quindi di sentirsi meglio.

I sintomi della dipendenza affettiva sono molto simili a quelli delle dipendenze comportamentali

Questi sintomi e segni sono nello specifico:

  • Il piacere che deriva dall’oggetto della dipendenza.
  • La tolleranza, ossia quel bisogno costante di aumentare il tempo da trascorrere con il partner abbandonando o diminuendo, invece, il tempo per le attività in autonomia o i contatti con le altre persone.
  • Astinenza. Qui cominciano a comparire le emozioni negative che sono molto intense, come ad esempio: ansia, depressione o panico. Si manifestano quando il partner è lontano, sia fisicamente che emotivamente.
  • Perdita di controllo. Questo sintomo arriva quando si perde la capacità di riflettere lucidamente sulla propria situazione. Non si riescono più a controllare i propri comportamenti. Inoltre, vengono alternati momenti in cui si è lucidi e la persona dipendente prova sentimenti di rimorso e vergogna.

Tutti questi sintomi che vi ho appena elencato, nella vita quotidiana, si riflettono in una grande varietà di atteggiamenti e comportamenti del dipendente affettivo.

Questi sono solo alcuni casi:

  • Le emozioni del partner sono più importanti.
  • La propria stima di sé, deriva dall’approvazione del partner.
  • Il riuscire a prendere una decisione oppure una posizione è difficoltoso perché prova forti sensi di colpa.
  • La paura di un possibile abbandono è molto forte, molte volte attua dei comportamenti che hanno la funzione di evitare il rifiuto e la solitudine.
  • Diventa difficile e stressante riconoscere ed esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri.
  • Il controllo del partner diventa l’impiego principale del tempo.
  • Le conseguenze negative che questa relazione produce vengono ignorate in tutti gli ambiti.

Ora conoscete quali sono i maggiori sintomi di questa dipendenza affettiva, nel prossimo articolo conoscerete come la terapia cognitivo – comportamentale viene utilizzata per guarire da questa dipendenza.

 

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Dipendente affettivo tipico: un modello clinico!

In questo articolo parleremo del dipendente affettivo tipico, dopo aver visto che cos’è la dipendenza affettiva patologica, nel mese scorso.

Un passaggio ulteriore che dobbiamo fare per capire questo modello clinico è quello di comprendere la mente del dipendente affettivo tipo (typical affective dependent, TAD).

Soprattutto, dobbiamo capire perché rimane in relazioni insoddisfacenti e pericolose.

Vi avevo già spiegato che la dipendenza affettiva patologica è una condizione relazionale, dove uno o entrambi i partner mettono in atto comportamenti abusivi, violenti o manipolatori.

Questo crea forte dolore per almeno uno dei partener.

Si sentono però incapaci di terminare la relazione e separarsi.

Solitamente, il dipendente affettivo tipico, dopo una separazione, un divorzio o un rifiuto, si sente estremamente ansioso e stressato.

Inoltre, possono rimuginare continuamente sulle possibili soluzioni per riconnettersi con il partner anche sottomettendosi, aggrappandosi così a una relazione disfunzionale.

Il dipendente affettivo psicologico sperimenta stati d’animo e sentimenti negativi quando sono lontani dai loro partner.

Dovete sapere che questa è considerata sia una condizione di stato, quindi temporanea, che di tratto, che si protrae nel tempo.

Secondo uno studio di ricerca condotto da un campione di vittime di violenza è emerso che la dipendenza affettiva psicologica è una condizione lentante.

Questa può essere innescata da un partner o da un ambiente violento.

Gli autori di questa ricerca hanno dimostrato che alcune persone in una relazione violenta, possono mostrare dei comportamenti disfunzionali, che risultano tipici di un individuo con un disturbo di personalità.

Tutti questi elementi negativi e disfunzionali sembrano scomparire quando la separazione del partner violento è stata completata e fuori dall’ambiente patologico.

Possiamo, quindi, dire che i partner violenti possono essere considerati un fattore scatenante della dipendenza affettiva patologica.

La peculiarità della dipendenza affettiva patologica è proprio l’impossibilità di porre fine alla relazione patologica.

Le diverse fasi del dipendente affettivo

Per quanto riguarda il dipendente affettivo tipico, possiamo dire che non è consapevole di essere in una relazione disfunzionale.

Molto spesso sono le persone vicine a lui, come i famigliari, a farglielo presente.

Può passare, poi nella seconda fase, da uno stato di rottura a uno successivo in cui rinveste nella relazione con la proposta di un figlio o di matrimonio.

Nella terza fase, il dipendente affettivo tipico è consapevole di essere rinchiuso in una relazione disfunzionale e di non riuscire a separarsi.

Possiamo concludere dicendo, che la dipendenza affettiva patologica può venire considerata come un antecedente psicologico essenziale e una possibile concausa alle violenze nelle relazioni intime.

A questo proposito è utile un intervento psicologico non solo per le vitte ma anche per gli autori di violenza.

 

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La dipendenza affettiva patologica: di cosa si tratta!

Oggi voglio affrontare un argomento molto importante: la dipendenza affettiva patologica.

Cercheremo di capire bene di cosa si tratta.

Molte volte non riusciamo a capire cosa c’è dietro la violenza nelle relazioni intime e la dipendenza affettiva patologica.

Pensiamo sempre cosa possa spingere due persone a stare insieme quando almeno uno/a di loro genera solo sofferenza.

Ecco, tutto questo è quello che vedremo oggi in questo articolo sulla dipendenza affettiva patologica.

La dipendenza affettiva patologica

Diversi ricercatori e psicologi hanno iniziato a spiegarsi la creazione e il mantenimento di relazioni intime violente come la conseguenza di una condizione.

Questa condizione viene chiamata dipendenza affettiva patologica.

Ma che cos’è la violenza nelle relazioni intime?

Potremmo dire che si ha quando un partner, o un ex, ha un comportamento che causa all’altro danni.

Questi danni possono essere fisici, sessuali o psicologici.

Spesso viene usato dall’abusante l’aggressione fisica, la coercizione sessuale, l’abuso psicologico ed emotivo i comportamenti di controllo.

Va precisato che la violenza nelle relazioni intime avviene tra coloro che hanno un età pari o superiore a 16 anni.

Questo avviene indipendentemente dal genere di appartenenza e dall’orientamento sessuale.

Quindi, sfatiamo subito il concetto di chi crede che la violenza nelle relazioni intime sia un fenomeno che colpisce solo le donne.

Troviamo diversi casi in cui l’abusante è una donna!

Quello che dobbiamo quindi chiederci dal punto di vista psicologico è:

Se la violenza nelle relazioni intime non è un problema del genere maschile, ma un problema relazionale, cosa spinge alcune persone a continuare queste relazioni disfunzionali anche quando la loro vita è a rischio?

Dovete sapere che molti studi hanno analizzato la violenza nelle relazioni intime a livello sociale ma non è mai stato inquadrato un modello clinico per questo fenomeno.

Quello che dovete quindi infine sapere è che la dipendenza affettiva patologica influisce negativamente sulla salute mentale e fisica delle persone coinvolte.

Il non riconoscere questa dipendenza o un cattivo intervento di un professionista possono portare a esiti irreversibili come ad esempio l’omicidio, il suicidio e il femminicidio.

Nel prossimo articolo vedremo il modello clinico del dipendente affettivo tipico.

 

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La tecnica del pomodoro: come gestire in modo efficace il proprio tempo

Oggi voglio parlarvi della tecnica del pomodoro, collegata alla gestione del tempo, perché insegna alle persona a focalizzarsi maggiormente sul compito che devono svolgere.

Molte volte diciamo: “il tempo è tiranno!” Lo consideriamo come un nemico e spesso ci scaturisce ansia.

Francesco Cirillo nel suo libro “la tecnica del pomodoro”, ci offre una soluzione semplice e immediata per imparare a gestire efficacemente il tempo.

Scopriamo meglio di che si tratta:

Origini della tecnica del pomodoro

La tecnica del pomodoro nasce agli inizi degli anni ’90 con l’esigenza di migliorare l’organizzazione e la concentrazione nello studio.

Il suo nome deriva dall’apparecchio utilizzato per l’organizzazione, ossia un timer da cucina a forma di pomodoro.

La tecnica del pomodoro è un metodo di time management e consiste nel suddividere i lavori in intervalli di 25 minuti, alternati da 5 minuti di pausa.

Questa tecnica viene quindi insegnata alle persone per focalizzarsi maggiormente sul compito, limitando il periodo di tempo.

Garantendo comunque delle interruzioni che servono a ripagare lo sforzo.

Questo metodo ispira alle idee del time boxing

Come dicevamo all’inizio, questo metodo ha l’obiettivo, oltre a gestire meglio il tempo, di contrastare la procrastinazione e il multitasking.

Entrambi, possono infatti compromettere la produttività del nostro tempo.

Quando gestite efficacemente il tempo, riuscite a fare molte più cose e in poco tempo!

Infatti, l’obiettivo della tecnica del pomodoro è proprio quello di sviluppare queste abitudini, garantendo così un miglioramento continuo.

Le fasi della tecnica del pomodoro

Il procedimento di questa tecnica possiamo dire si caratterizza in sei fasi:

  • Definire le attività da svolgere durante la giornata
  • Eliminare le potenziali fonti di distrazione (email, chat, social media e qualsiasi cosa non pertinente al compito da eseguire)
  • Impostare il timer per 25 minuti no-stop di puro lavoro
  • Concentrarsi sul compito da eseguire finché il timer non squilli (completando il record di un pomodoro)
  • Fare una pausa di 3-5 minuti
  • Al termine di 4 pomodori completati, fare una pausa dai 15 ai 30 minuti

Tecnica del pomodoro

Il ciclo di un intero pomodoro é fondamentale per la riuscita della tecnica.

Ricordate durante la pausa dei 5 minuti di staccare dal lavoro che stavate facendo, questo è veramente un elemento fondamentale.

Chiacchierate, bevete dell’acqua, fate stretching, rilassatevi ascoltando la musica, ad esempio.

Cercate di segnare il numero di pomodori che avete utilizzato per finire un lavoro, questo è uno stimolo per fare sempre meglio e in maniera più produttiva.

Il ticchettio che all’inizio via avrà infastidito diventerà un invito a concentrarsi e a continuare il lavoro.

Concludendo, la tecnica del pomodoro é stata applicata con successo in diversi ambiti, quindi é considerata un ottimo metodo per gestire il tempo.

Non vi resta che metterla in pratica!

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Gestire il tempo: come farlo al meglio!

Gestire il tempo non è mai semplice per alcune persone.

Oggi ve ne parlo in questo articolo, facendovi conoscere alcune strategie d’applicare per la gestione del tempo che possono esservi particolarmente utili.

Dovete, infatti, sapere che gestire il tempo in questo ultimo periodo e con i nostri stili di vita che sono cambiati è veramente molto importante.

Un esempio? Vi basti pensare allo smart working, nuova modalità di lavoro di molte aziende, che ha richiesto una nuova organizzazione del tempo.

Un altro esempio della gestione del tempo lo ritroviamo con i neo genitori o i genitori con figli piccoli che lavorano entrambi, le loro esigenze e i loro tempi vengono modificati.

Ma senza andare lontano, questo articolo su come gestire il tempo, può essere un utile strumento anche a quelle persone che ritengono di non riuscire mai a ritagliarsi uno spazio per sè.

Vediamo quindi come fare!

Gestire il tempo fissando delle priorità

Molte volte siamo presi dalla frenesia di fare tutto, che non riusciamo neanche a pensare un attimo a quali siano le cose davvero importanti per noi!

Siamo spesso “incastrati” in una routine o in delle aspettative che non corrispondono più alle nostre preferenze, trascurando così i cambiamenti delle nostre vite e del contesto in cui ci troviamo.

Quindi è fondamentale che le nostre priorità siano sempre aggiornate e laddove non lo siano, devono essere riviste.

Questo per dirvi, che se vi fermate un attimo, potete davvero concentrarvi sulle cose che sono davvero importanti per voi.

Fissate allora le vostre priorità e riaggiornatele se necessario.

Se riuscirete a farlo, potrete tenere maggiormente in equilibrio le vostre vite e gestire così efficacemente il vostro tempo.

Ora mettiamo in pratica questa teoria con un piccolo esercizio:

Questo esercizio vi permetterà di fissare le vostre priorità, quindi prendetevi almeno 10 minuti e mettetevi comodi.

Fate un bel respiro e prendete carta e penna, queste vi serviranno per stilare un elenco di cose importanti.

Dovrete scrivere tutte le cose che vi vengono in mente, cercando di essere il più possibili specifici.

Dopo di che, rileggete quello che avete scritto e chiedetevi se quanto avete scritto è importante per voi in questo preciso momento della vostra vita, assegnandoli un punteggio.

Avrete così una vostra classifica, ora quello che dovete fare è riprendere quelli che sono finiti agli ultimi posti e chiedervi ancora: “sono sicuro di volerle mantenere ancora?” “Le considero come prioritarie in questo momento nella mia vita?”

Questo esercizio vi aiuterà ad organizzare il vostro tempo avendo ben chiare le vostre priorità.

‍TO DO LIST:

Un altro strumento utile per gestire il tempo è la to do list, ossia la lista delle cose da fare.

Qui potete annotare tutte le attività da svolgere nella vostra giornata e nella vostra settimana.

  • una per il lavoro;
  • una per la famiglia;
  • una per le cose da fare;

‍Una volta che la lista è pronta, utilizzate la tecnica della “Matrice di Eisenhower“, utile proprio a stabilire le priorità delle cose da fare.

Troverete cosi delle cose:

  • urgenti ed importanti: da fare subito;
  • importanti ma non urgenti: si possono pianificare;
  • urgenti ma non importanti: potrebbero essere delegate ad altri;
  • né importanti né urgenti: potrebbero essere attività superflue e, quindi, eliminabili.

L’agenda è uno strumento fondamentale per la gestione del tempo

Un ottimo strumento per la programmazione delle vostre attività è l’agenda, perché ci consente di verificare in modo rapido, su quali aspetti concentrare i nostri eventi.

Inoltre, ci aiuta a capire se siamo davvero in grado di ritagliarci i nostri spazi e le nostre priorità.

In psicologia e in psicoterapia è possibile lavorare sulla gestione del tempo utilizzando proprio l’agenda come strumento efficace.

Quindi, mettete sempre in agenda del tempo per voi stessi e mettete in conto degli imprevisti.

Questo vi permetterà di farvi trovare preparati quando arriveranno e potrete così godere del tempo extra alle cose realmente importanti.

Pianificare e programmare può sembrare difficile ma è indispensabile, soprattutto per il vostro benessere psicofisico!

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Gaslighter: chi è e le fasi della sua manipolazione psicologica

Il mese scorso abbiamo visto insieme che la parola più cercata del 2022 è stata Gaslighting, oggi vogliamo parlarvi dei Gaslighter.

Come abbiamo visto Il termine gaslighting viene utilizzato per definire un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far si che l’altra dubiti di sé stessa e dei suoi giudizi sulla realtà.

Questa manipolazione mira alle certezze e sicurezze della vittima, agendo come un vero e proprio lavaggio del cervello.

La vittima crederà quindi di aver sbagliato e penserà continuamente di meritare una punizione e di averne la colpa.

Ma chi sono i Gaslighter? Non sono altro che dei manipolatori!

Esistono tre categorie di Gaslighter:

  • L’affascinante. Questo tipo di gaslighter è probabilmente il più insidioso di tutti. Sottopone continuamente la sua vittima a momenti d’amore e momenti di manipolazione psicologica.

Possiamo dire che di solito agisce alternando silenzi ostili e tremendi commenti cattivi con momenti di intenso amore e lusinghe. La vittima vive in un continuo disorientamento mentale ed emotivo.

  • Il bravo ragazzo. All’inizio, a questo tipo di gaslighter sembra che stia a cuore solo il bene della vittima ma in realtà è un egoista, camuffato da persona altruista.

Possiamo dire che sia sempre pronto e attento a mettere in primo piano i propri bisogni o il proprio tornaconto personale rispetto a quello della vittima.

Ovviamente, riesce sempre a dare l’impressione opposta.

  • L’intimidatore. Quest’ultimo rispetto ai due precedenti è il più diretto. Infatti, non si preoccupa di nascondersi dietro false facciate!

Rimprovera così alla vittima tutto, fa battute sarcastiche su di lei e l’aggredisce esplicitamente!

Possiamo dire che lo scopo del comportamento comune a tutte e tre le categorie è quello di ridurre la vittima a un totale livello di dipendenza fisica e psicologica.

In questo modo, annullano la sua capacità d’autonomia e responsabilità.

Le vittime si troveranno imprigionate in questo comportamento e lentamente affievoliranno le resistenze fino a quando non scompariranno, diventando così complici del proprio aguzzino.

Le fasi della manipolazione del Gaslighting

  • La prima fase è caratterizzata da una distorsione della comunicazione. I dialoghi saranno caratterizzati da silenzi ostile e da battute sarcastiche con oggetto la vittima che saranno così destabilizzate.

La vittima sarà quindi confusa e disorientata.

  • La seconda fase è caratterizzata da un tentativo di difesa.

La vittima cercherà di convincere il suo abusante che quello che dice non corrisponde alla realtà. Inoltre, proverà ad instaurare un dialogo con la speranza che serva a far cambiare il comportamento del gaslighter.

  • La terza fase è la discesa nella depressione.

In questo caso la vittima si convincerà che ciò che l’abusante dice nei suoi confronti corrisponde a realtà, rassegnandosi e diventando insicura, vulnerabile e dipendente da lui,

In questa fase la perversione relazionale è nel suo apice: la vittima si convince della ragione e della bontà del suo manipolatore arrivando in alcuni casi a idealizzarlo!

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Gaslighting, la parola più cercata nel 2022

Dovete sapere che è emerso che la parola più cercata in internet nel 2022 è Gaslighting.

Voi la conoscete? Sapete cosa vuol dire e a cosa si riferisce?

Oggi, in questo articolo provo a spiegarvelo io e a farvi conoscere come è nata questa parola.

Possiamo dire che sia diventata la parola più cliccata del 2022 perché molte volte vengono messe in rete delle “fake news“.

Queste ci fanno dubitare della realtà con il proposito, quindi, di manipolare i destinatari dei messaggi.

Ma cosa si intende per Gaslighting?

Il Gaslighting è sostanzialmente una tecnica crudele ed infida di manipolazione mentale.

Come sapete non esiste sono una violenza fisica, fatta di rabbia, ma anche una più ostile fatta di silenzi o parole pungenti.

Questa violenza è molto antica e possiamo dire che di solito viene perpetrata tra le mura domestiche lasciano sulla vittima delle profonde ferite psicologiche.

Il termine Gaslighting risale a un’opera teatrale del 1938 Gas Light (Luci a gas) e dagli adattamenti cinematografici “Rebecca – la prima moglie” (1940) di Alfred Hitchcock e da un film italiano “Angoscia” (1944).

La trama di questi film è quella di un marito che tenta di portare la propria moglie alla pazzia, manipolando piccoli elementi dell’ambiente.

Inoltre, insiste sul fatto che sua moglie si sbagli o ricordi male ogni qual volta nota dei cambiamenti in casa.

Il titolo originale Gas Light deriva proprio dal subdolo affievolimento delle luci a gas che il marito applica e che la moglie nota.

Lei continua a farglielo presente ma lui insiste sul fatto che sia solo frutto della sua immaginazione!

Come potete vedere è una chiara tecnica di manipolazione!

Il termine gaslighting, quindi, viene utilizzato per definire un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far si che l’altra dubiti di sé stessa e dei suoi giudizi sulla realtà.

Questa manipolazione mira, come abbiamo visto, alle certezze e sicurezze della vittima, agendo come un vero e proprio lavaggio del cervello.

La vittima crederà quindi di aver sbagliato e penserà continuamente di meritare una punizione e di averne la colpa.

Questo tipo di violenza psicologia è molto insidiosa e spesso viene giustificata dalle stesse vittime!

Diverse ricerche dimostrano che la maggior parte delle vittime sono quasi sempre partner o parenti stretti.

In molti casi, questa manipolazione psicologica è utilizzata dal partner per punire o allontanare l’altro quando si vivono rapporti conflittuali, insoddisfazioni personali o relazioni extraconiugali.

Il gaslighting è una forma di violenza psicologica che nasce all’interno di rapporti che erano fondati e costruiti sull’amore.

Una frustrazione alla quale non si sa reagire, mette in crisi la fiducia che il manipolatore ripone in sé e tutto il suo mondo crolla, sostituendo così l’amore con le cattiverie gratuite e le molestie.

Alcuni esempi di cattiverie di Gaslighting che si subiscono:

  • “ Sei grassa! (magra, brutta, ecc..)”
  • “ Scusatela, mia moglie è una deficiente!”
  • “ Sbagli sempre tutto! Non ne fai una giusta!”
  • “ Ma come non ti ricordi! Me l’hai detto proprio tu!”
  • “ Non me l’hai mai detto! Te lo sarai immaginato!”
  • “ Le tue amiche sono insignificanti, proprio come te!”
  • “ Se ti lascio rimarrai sola per tutta la vita!”
  • “ Tu non sei nessuno!”

Questi come vedete sono messaggi si svalutazione che feriscono emotivamente la persona che si sente umiliata e sminuita.

Il gaslighter sa come ferire e prova godimento nel vedere gli effetti del suo comportamento.

Nel prossimo articolo vedremo quali sono i tipi di Gaslighter e nello specifico quali sono le fasi della sua manipolazione.

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Psicoterapia per gli attacchi di panico: come curare questo disturbo!

Oggi vogliamo soffermarci a parlare meglio della psicoterapia per gli attacchi di panico, ossia come curare questo disturbo.

Come dicevamo lo scorso articolo, gli attacchi di panico sono degli episodi d’improvvisa e intensa paura o l’escalation rapida dell’ansia che normalmente è presente in noi.

Vediamo nello specifico quali sono i passi fondamentali della psicoterapia per gli attacchi di panico.

Psicoterapia per gli attacchi di panico

La ricerca scientifica ha dimostrato che per curare gli attacchi di panico con o senza agorafobia e per i disturbi d’ansia in generale, la forma di psicoterapia più efficace èquella “cognitivo-comportamentale“.

La terapia è relativamente breve, con cadenza settimanale, dove il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema.

Possono esserci casi più difficili che richiedono, quindi, una terapia più lunga.

Il paziente durante le sedute, insieme al suo terapeuta, si concentra sull’apprendimento di alcune modalità di pensiero e di comportamento, funzionali alla cura degli attacchi di panico.

Questo viene fatto con il fine e l’intento di spezzare i circoli viziosi tipici di questi disturbi.

Inoltre, per questi disturbi è controindicato affidarsi a farmaci o ad altre terapie, senza aver prima intrapreso un percorso cognitivo comportamentale.

Psicoterapia per gli attacchi di panico: i passi fondamentali

Tecniche cognitive

Nella terapia le tecniche cognitive utilizzate sono delle strategie verbali volte a modificare i pensieri catastrofici automatici.

Questi sono ad esempio: mi verrà un infarto, un attacco di cuore, sverrò…

Queste strategie fanno si che con il tempo la persona impari a non aver paura delle sensazioni fisiche di ansia.

Insomma, non avendo paura, impara a gestirle e a conviverci aspettando che queste passino.

In questo modo, si evita l’escalation di ansia che ci porta ad avere degli attacchi di panico.

Tecniche comportamentali

Oltre alle tecniche cognitive con le strategie verbali, si associano delle tecniche comportamentali volte, appunto, a modificare i comportamenti problematici che mantengono questo disturbo.

Per prima cosa, è fondamentale contrastare gradualmente la tendenza che i pazienti hanno di evitare le situazioni temute.

Inoltre, bisogna aiutare il soggetto ad esporsi alle sensazioni fisiche che lo allarmano, come ad esempio la tachicardia.

Questo viene fatto utilizzando esercizi durante le sedute e la ripresa di attività che venivano evitate.

Si accompagna il paziente attraverso un percorso in cui le attività tornino ad essere parte della sua vita.

Come ad esempio, riprendere i mezzi pubblici o frequentare i centri commerciali.

Il passo successivo è quello di abbandonare gradualmente quelli che vengono considerati “comportamenti protettivi” e che danno un illusorio senso di sicurezza.

Questi sono lo stare chiusi a casa evitando le situazioni oppure farsi accompagnare da chiunque in giro.

Un’altra tecnica utile è quella del rilassamento e di strategie che aumentino la capacità del soggetto di accettare le emozioni negative.

In particolar modo possiamo far riferimento alla meditazione mindfulness e alle tecniche esperienziali tipiche della Acceptance and Commitment Therapy (ACT).

Infine, se gli attacchi di panico dopo un percorso di psicoterapia cognitiva comportamentale non dovessero passare, sarà opportuno prendere in esami eventuali traumi compresa la prima esperienza di attacco di panico grazie alla tecnica del EMDR.

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Attacchi di panico: I sintomi del più comune disturbo d’ansia!

Oggi voglio parlarvi degli attacchi di panico che sono uno dei sintomi del più comune disturbo d’ansia.

Per prima cosa, definiamo cosa sono gli attacchi di panico.

Questi sono degli episodi di improvvisa ed intensa paura o l’escalation rapida dell’ansia che normalmente è presente in noi.

Solitamente, chi ha provato o prova per la prima volta gli attacchi di panico, li descrive come una terribile esperienza che arriva in modo improvviso ed inaspettato.

Per questo motivo la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante rispetto ad altre sensazioni.

Ed ecco così, che il singolo episodio, diventa un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura” che per altri motivi.

Entrando così in un circolo vizioso che può sfociare nella agorafobia, ossia l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dalle quali diventa difficile o imbarazzante allontanarsi.

Per la maggior parte delle persone che soffre di attacchi di panico diventa veramente difficile uscire da casa da soli oppure viaggiare sui mezzi pubblici.

Senza parlare di guidare un automobile o semplicemente stare in mezzo alla gente.

Quindi per non trovarsi in queste situazioni la persona soggetta ad attacchi di panico le evita, diventando quindi a sua volta schiavo del panico.

Molto spesso, inoltre, costringe le persone a lui più ad adattarsi a questa sua situazione.

Non rimane mai da solo e si fa accompagnare ovunque.

Per questi motivi arriva anche un forte senso di frustrazione, dell’essere “grandi” ma dipendere necessariamente dagli altri, arrivando così ad una depressione secondaria.

Caratteristiche degli attacchi di panico

La caratteristica fondamentale del disturbo di attacchi da panico, come dicevamo prima, è la presenza di attacchi ricorrenti ed inaspettati.

Dovete sapere che questi sono seguiti da almeno un mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico.

La persona che soffre di attacchi di panico si preoccupa delle conseguenze cambiando così il proprio stile di vita.

Principalmente, decide di evitare le situazioni in cui teme che questi possano verificarsi.

Possiamo dire che il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, e quindi arriva “a ciel sereno”, spaventando il soggetto.

Gli attacchi di panico con il passare del tempo possono invece diventare prevedibili.

La diagnosi:

Per poter fare una diagnosi, un individuo deve almeno aver avuto due attacchi di panico inaspettati.

Molto spesso le preoccupazioni per un possibile nuovo attacco di panico sono associate con l’evitare le situazioni.

Determinando così una vera e propria Agorafobia, in questo caso viene diagnosticato un disturbo di panico con agarafobia.

Dovete sapere che molto spesso gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti, infatti, alcuni eventi della vita possono fungere da fattori precipitanti.

Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti dai pazienti ci sono:

  • il matrimonio o la convivenza
  • la separazione
  • la perdita o la malattia di una persona significativa
  • l’essere vittima di una qualche forma di violenza
  • problemi finanziari e lavorativi

Inoltre, gli eventi molto stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le droghe possono far insorgere delle sensazioni corporee anomale che possono essere interpretate in maniera catastrofica.

Questo fa aumentare il rischio di generare attacchi di panico.

Sintomi degli attacchi di panico:

Molto spesso gli attacchi di panico sono accompagnati anche da sintomi somatici e cognitivi quali:

  • palpitazioni, tachicardia (battiti irregolari, agitazione nel petto)
  • sudorazione improvvisa
  • tremore,
  • dolori al petto
  • sensazione di soffocamento
  • nausea o disturbi addominali
  • vertigini o sensazioni di instabilità
  • paura di morire o di impazzire
  • brividi o vampate di calore.

L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più).

Non tutti i sintomi sono necessari perché questo si verifichi un attacco di panico.

Molto spesso sono caratterizzati solo da uno di questi sintomi.

Quello che dovete sapere è che la frequenza e la gravità dei sintomi varia nel corso del tempo e delle circostanze in cui vi trovate.

Per farvi un esempio concreto, alcuni individui possono presentare attacchi moderatamente frequenti, come una volta alla settimana, che si manifestano per mesi.

Altri invece, possono avere degli attacchi di panico più frequenti con sintomi meno intensi oppure intervallati da settimane e mesi per molti anni.

Molto comune negli individui con disturbo di panico sono gli attacchi paucisintomatici.

Questo si manifestano solo con una parte del sintomo del panico, senza esplodere in un vero e proprio attacco.

La maggior parte di questi individui però ha avuto anche attacchi di panico completi.

Concludendo, la persona che soffre di attacco di panico ha difficoltà a pensare chiaramente e teme che i sintomi che avverte siano veramente pericolosi.

Per molti, questi attacchi indicano la presenza di una malattia non diagnosticata e pericolosa che gli esami medici non rilevano.

Per altri, i sintomi dell’attacco di panico indicano che stanno “impazzendo” o perdendo il controllo della propria vita.

Quello che si deve fare quando si soffre di un attacco di panico è quello di rivolgersi ad uno specialista che gli aiuterà ad arrivare all’origine di questo problema d’ansia.

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Federica OrlandiAttacchi di panico: I sintomi del più comune disturbo d’ansia!