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di Federica Orlandi

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Gaslighter: chi è e le fasi della sua manipolazione psicologica

Il mese scorso abbiamo visto insieme che la parola più cercata del 2022 è stata Gaslighting, oggi vogliamo parlarvi dei Gaslighter.

Come abbiamo visto Il termine gaslighting viene utilizzato per definire un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far si che l’altra dubiti di sé stessa e dei suoi giudizi sulla realtà.

Questa manipolazione mira alle certezze e sicurezze della vittima, agendo come un vero e proprio lavaggio del cervello.

La vittima crederà quindi di aver sbagliato e penserà continuamente di meritare una punizione e di averne la colpa.

Ma chi sono i Gaslighter? Non sono altro che dei manipolatori!

Esistono tre categorie di Gaslighter:

  • L’affascinante. Questo tipo di gaslighter è probabilmente il più insidioso di tutti. Sottopone continuamente la sua vittima a momenti d’amore e momenti di manipolazione psicologica.

Possiamo dire che di solito agisce alternando silenzi ostili e tremendi commenti cattivi con momenti di intenso amore e lusinghe. La vittima vive in un continuo disorientamento mentale ed emotivo.

  • Il bravo ragazzo. All’inizio, a questo tipo di gaslighter sembra che stia a cuore solo il bene della vittima ma in realtà è un egoista, camuffato da persona altruista.

Possiamo dire che sia sempre pronto e attento a mettere in primo piano i propri bisogni o il proprio tornaconto personale rispetto a quello della vittima.

Ovviamente, riesce sempre a dare l’impressione opposta.

  • L’intimidatore. Quest’ultimo rispetto ai due precedenti è il più diretto. Infatti, non si preoccupa di nascondersi dietro false facciate!

Rimprovera così alla vittima tutto, fa battute sarcastiche su di lei e l’aggredisce esplicitamente!

Possiamo dire che lo scopo del comportamento comune a tutte e tre le categorie è quello di ridurre la vittima a un totale livello di dipendenza fisica e psicologica.

In questo modo, annullano la sua capacità d’autonomia e responsabilità.

Le vittime si troveranno imprigionate in questo comportamento e lentamente affievoliranno le resistenze fino a quando non scompariranno, diventando così complici del proprio aguzzino.

Le fasi della manipolazione del Gaslighting

  • La prima fase è caratterizzata da una distorsione della comunicazione. I dialoghi saranno caratterizzati da silenzi ostile e da battute sarcastiche con oggetto la vittima che saranno così destabilizzate.

La vittima sarà quindi confusa e disorientata.

  • La seconda fase è caratterizzata da un tentativo di difesa.

La vittima cercherà di convincere il suo abusante che quello che dice non corrisponde alla realtà. Inoltre, proverà ad instaurare un dialogo con la speranza che serva a far cambiare il comportamento del gaslighter.

  • La terza fase è la discesa nella depressione.

In questo caso la vittima si convincerà che ciò che l’abusante dice nei suoi confronti corrisponde a realtà, rassegnandosi e diventando insicura, vulnerabile e dipendente da lui,

In questa fase la perversione relazionale è nel suo apice: la vittima si convince della ragione e della bontà del suo manipolatore arrivando in alcuni casi a idealizzarlo!

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Gaslighting, la parola più cercata nel 2022

Dovete sapere che è emerso che la parola più cercata in internet nel 2022 è Gaslighting.

Voi la conoscete? Sapete cosa vuol dire e a cosa si riferisce?

Oggi, in questo articolo provo a spiegarvelo io e a farvi conoscere come è nata questa parola.

Possiamo dire che sia diventata la parola più cliccata del 2022 perché molte volte vengono messe in rete delle “fake news“.

Queste ci fanno dubitare della realtà con il proposito, quindi, di manipolare i destinatari dei messaggi.

Ma cosa si intende per Gaslighting?

Il Gaslighting è sostanzialmente una tecnica crudele ed infida di manipolazione mentale.

Come sapete non esiste sono una violenza fisica, fatta di rabbia, ma anche una più ostile fatta di silenzi o parole pungenti.

Questa violenza è molto antica e possiamo dire che di solito viene perpetrata tra le mura domestiche lasciano sulla vittima delle profonde ferite psicologiche.

Il termine Gaslighting risale a un’opera teatrale del 1938 Gas Light (Luci a gas) e dagli adattamenti cinematografici “Rebecca – la prima moglie” (1940) di Alfred Hitchcock e da un film italiano “Angoscia” (1944).

La trama di questi film è quella di un marito che tenta di portare la propria moglie alla pazzia, manipolando piccoli elementi dell’ambiente.

Inoltre, insiste sul fatto che sua moglie si sbagli o ricordi male ogni qual volta nota dei cambiamenti in casa.

Il titolo originale Gas Light deriva proprio dal subdolo affievolimento delle luci a gas che il marito applica e che la moglie nota.

Lei continua a farglielo presente ma lui insiste sul fatto che sia solo frutto della sua immaginazione!

Come potete vedere è una chiara tecnica di manipolazione!

Il termine gaslighting, quindi, viene utilizzato per definire un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far si che l’altra dubiti di sé stessa e dei suoi giudizi sulla realtà.

Questa manipolazione mira, come abbiamo visto, alle certezze e sicurezze della vittima, agendo come un vero e proprio lavaggio del cervello.

La vittima crederà quindi di aver sbagliato e penserà continuamente di meritare una punizione e di averne la colpa.

Questo tipo di violenza psicologia è molto insidiosa e spesso viene giustificata dalle stesse vittime!

Diverse ricerche dimostrano che la maggior parte delle vittime sono quasi sempre partner o parenti stretti.

In molti casi, questa manipolazione psicologica è utilizzata dal partner per punire o allontanare l’altro quando si vivono rapporti conflittuali, insoddisfazioni personali o relazioni extraconiugali.

Il gaslighting è una forma di violenza psicologica che nasce all’interno di rapporti che erano fondati e costruiti sull’amore.

Una frustrazione alla quale non si sa reagire, mette in crisi la fiducia che il manipolatore ripone in sé e tutto il suo mondo crolla, sostituendo così l’amore con le cattiverie gratuite e le molestie.

Alcuni esempi di cattiverie di Gaslighting che si subiscono:

  • “ Sei grassa! (magra, brutta, ecc..)”
  • “ Scusatela, mia moglie è una deficiente!”
  • “ Sbagli sempre tutto! Non ne fai una giusta!”
  • “ Ma come non ti ricordi! Me l’hai detto proprio tu!”
  • “ Non me l’hai mai detto! Te lo sarai immaginato!”
  • “ Le tue amiche sono insignificanti, proprio come te!”
  • “ Se ti lascio rimarrai sola per tutta la vita!”
  • “ Tu non sei nessuno!”

Questi come vedete sono messaggi si svalutazione che feriscono emotivamente la persona che si sente umiliata e sminuita.

Il gaslighter sa come ferire e prova godimento nel vedere gli effetti del suo comportamento.

Nel prossimo articolo vedremo quali sono i tipi di Gaslighter e nello specifico quali sono le fasi della sua manipolazione.

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Psicoterapia per gli attacchi di panico: come curare questo disturbo!

Oggi vogliamo soffermarci a parlare meglio della psicoterapia per gli attacchi di panico, ossia come curare questo disturbo.

Come dicevamo lo scorso articolo, gli attacchi di panico sono degli episodi d’improvvisa e intensa paura o l’escalation rapida dell’ansia che normalmente è presente in noi.

Vediamo nello specifico quali sono i passi fondamentali della psicoterapia per gli attacchi di panico.

Psicoterapia per gli attacchi di panico

La ricerca scientifica ha dimostrato che per curare gli attacchi di panico con o senza agorafobia e per i disturbi d’ansia in generale, la forma di psicoterapia più efficace èquella “cognitivo-comportamentale“.

La terapia è relativamente breve, con cadenza settimanale, dove il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema.

Possono esserci casi più difficili che richiedono, quindi, una terapia più lunga.

Il paziente durante le sedute, insieme al suo terapeuta, si concentra sull’apprendimento di alcune modalità di pensiero e di comportamento, funzionali alla cura degli attacchi di panico.

Questo viene fatto con il fine e l’intento di spezzare i circoli viziosi tipici di questi disturbi.

Inoltre, per questi disturbi è controindicato affidarsi a farmaci o ad altre terapie, senza aver prima intrapreso un percorso cognitivo comportamentale.

Psicoterapia per gli attacchi di panico: i passi fondamentali

Tecniche cognitive

Nella terapia le tecniche cognitive utilizzate sono delle strategie verbali volte a modificare i pensieri catastrofici automatici.

Questi sono ad esempio: mi verrà un infarto, un attacco di cuore, sverrò…

Queste strategie fanno si che con il tempo la persona impari a non aver paura delle sensazioni fisiche di ansia.

Insomma, non avendo paura, impara a gestirle e a conviverci aspettando che queste passino.

In questo modo, si evita l’escalation di ansia che ci porta ad avere degli attacchi di panico.

Tecniche comportamentali

Oltre alle tecniche cognitive con le strategie verbali, si associano delle tecniche comportamentali volte, appunto, a modificare i comportamenti problematici che mantengono questo disturbo.

Per prima cosa, è fondamentale contrastare gradualmente la tendenza che i pazienti hanno di evitare le situazioni temute.

Inoltre, bisogna aiutare il soggetto ad esporsi alle sensazioni fisiche che lo allarmano, come ad esempio la tachicardia.

Questo viene fatto utilizzando esercizi durante le sedute e la ripresa di attività che venivano evitate.

Si accompagna il paziente attraverso un percorso in cui le attività tornino ad essere parte della sua vita.

Come ad esempio, riprendere i mezzi pubblici o frequentare i centri commerciali.

Il passo successivo è quello di abbandonare gradualmente quelli che vengono considerati “comportamenti protettivi” e che danno un illusorio senso di sicurezza.

Questi sono lo stare chiusi a casa evitando le situazioni oppure farsi accompagnare da chiunque in giro.

Un’altra tecnica utile è quella del rilassamento e di strategie che aumentino la capacità del soggetto di accettare le emozioni negative.

In particolar modo possiamo far riferimento alla meditazione mindfulness e alle tecniche esperienziali tipiche della Acceptance and Commitment Therapy (ACT).

Infine, se gli attacchi di panico dopo un percorso di psicoterapia cognitiva comportamentale non dovessero passare, sarà opportuno prendere in esami eventuali traumi compresa la prima esperienza di attacco di panico grazie alla tecnica del EMDR.

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Attacchi di panico: I sintomi del più comune disturbo d’ansia!

Oggi voglio parlarvi degli attacchi di panico che sono uno dei sintomi del più comune disturbo d’ansia.

Per prima cosa, definiamo cosa sono gli attacchi di panico.

Questi sono degli episodi di improvvisa ed intensa paura o l’escalation rapida dell’ansia che normalmente è presente in noi.

Solitamente, chi ha provato o prova per la prima volta gli attacchi di panico, li descrive come una terribile esperienza che arriva in modo improvviso ed inaspettato.

Per questo motivo la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante rispetto ad altre sensazioni.

Ed ecco così, che il singolo episodio, diventa un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura” che per altri motivi.

Entrando così in un circolo vizioso che può sfociare nella agorafobia, ossia l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dalle quali diventa difficile o imbarazzante allontanarsi.

Per la maggior parte delle persone che soffre di attacchi di panico diventa veramente difficile uscire da casa da soli oppure viaggiare sui mezzi pubblici.

Senza parlare di guidare un automobile o semplicemente stare in mezzo alla gente.

Quindi per non trovarsi in queste situazioni la persona soggetta ad attacchi di panico le evita, diventando quindi a sua volta schiavo del panico.

Molto spesso, inoltre, costringe le persone a lui più ad adattarsi a questa sua situazione.

Non rimane mai da solo e si fa accompagnare ovunque.

Per questi motivi arriva anche un forte senso di frustrazione, dell’essere “grandi” ma dipendere necessariamente dagli altri, arrivando così ad una depressione secondaria.

Caratteristiche degli attacchi di panico

La caratteristica fondamentale del disturbo di attacchi da panico, come dicevamo prima, è la presenza di attacchi ricorrenti ed inaspettati.

Dovete sapere che questi sono seguiti da almeno un mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico.

La persona che soffre di attacchi di panico si preoccupa delle conseguenze cambiando così il proprio stile di vita.

Principalmente, decide di evitare le situazioni in cui teme che questi possano verificarsi.

Possiamo dire che il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, e quindi arriva “a ciel sereno”, spaventando il soggetto.

Gli attacchi di panico con il passare del tempo possono invece diventare prevedibili.

La diagnosi:

Per poter fare una diagnosi, un individuo deve almeno aver avuto due attacchi di panico inaspettati.

Molto spesso le preoccupazioni per un possibile nuovo attacco di panico sono associate con l’evitare le situazioni.

Determinando così una vera e propria Agorafobia, in questo caso viene diagnosticato un disturbo di panico con agarafobia.

Dovete sapere che molto spesso gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti, infatti, alcuni eventi della vita possono fungere da fattori precipitanti.

Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti dai pazienti ci sono:

  • il matrimonio o la convivenza
  • la separazione
  • la perdita o la malattia di una persona significativa
  • l’essere vittima di una qualche forma di violenza
  • problemi finanziari e lavorativi

Inoltre, gli eventi molto stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le droghe possono far insorgere delle sensazioni corporee anomale che possono essere interpretate in maniera catastrofica.

Questo fa aumentare il rischio di generare attacchi di panico.

Sintomi degli attacchi di panico:

Molto spesso gli attacchi di panico sono accompagnati anche da sintomi somatici e cognitivi quali:

  • palpitazioni, tachicardia (battiti irregolari, agitazione nel petto)
  • sudorazione improvvisa
  • tremore,
  • dolori al petto
  • sensazione di soffocamento
  • nausea o disturbi addominali
  • vertigini o sensazioni di instabilità
  • paura di morire o di impazzire
  • brividi o vampate di calore.

L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più).

Non tutti i sintomi sono necessari perché questo si verifichi un attacco di panico.

Molto spesso sono caratterizzati solo da uno di questi sintomi.

Quello che dovete sapere è che la frequenza e la gravità dei sintomi varia nel corso del tempo e delle circostanze in cui vi trovate.

Per farvi un esempio concreto, alcuni individui possono presentare attacchi moderatamente frequenti, come una volta alla settimana, che si manifestano per mesi.

Altri invece, possono avere degli attacchi di panico più frequenti con sintomi meno intensi oppure intervallati da settimane e mesi per molti anni.

Molto comune negli individui con disturbo di panico sono gli attacchi paucisintomatici.

Questo si manifestano solo con una parte del sintomo del panico, senza esplodere in un vero e proprio attacco.

La maggior parte di questi individui però ha avuto anche attacchi di panico completi.

Concludendo, la persona che soffre di attacco di panico ha difficoltà a pensare chiaramente e teme che i sintomi che avverte siano veramente pericolosi.

Per molti, questi attacchi indicano la presenza di una malattia non diagnosticata e pericolosa che gli esami medici non rilevano.

Per altri, i sintomi dell’attacco di panico indicano che stanno “impazzendo” o perdendo il controllo della propria vita.

Quello che si deve fare quando si soffre di un attacco di panico è quello di rivolgersi ad uno specialista che gli aiuterà ad arrivare all’origine di questo problema d’ansia.

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Insonnia difficoltà a dormire: 9 indicazioni per dormire meglio

Nell’articolo di oggi, vi parlerò dell’insonnia, ossia della difficoltà nel dormire.

Lo so, capita a tutti di passare prima o poi una notte senza dormire.

Sapete quali possono esserne le cause?

Una causa del non riuscire a dormire potrebbe essere perché siamo carichi di emotività positiva.

Si, insomma siamo troppo emozionati per qualcosa che ci accadrà il giorno dopo.

Quante volte vi è successo? Magari il giorno prima delle vostre nozze, per un incontro romantico o un avvenimento importante.

Altre volte è, invece, la sensazione di perdere tempo che ci tiene svegli, come se pensassimo che il sonno non ci fosse utile.

Molte volte però a tenerci svegli è un pensiero negativo come una malattia, un problema sul lavoro o una discussione in famiglia.

Come fare con l’insonnia

Prima di tutto, dobbiamo dire che riuscire ad individuare la causa del sonno mancato è un elemento positivo.

Sapere da dove arriva ci può aiutare a fermarlo.

Alcune volte, però, non è così semplice individuarne la causa perché spesso siamo incapaci di gestire il problema.

Dovete sapere che dormire male è sempre indice di qualcosa che non va.

Potremmo dire che è una richiesta inconsapevole di aiuto che proviene dalla nostra unità psico-fisica.

Tenete ben presene che il sonno è un processo naturale e spontaneo che si svolge secondo determinate regole che non possono essere cambiate.

Il nostro sonno dipende anche in base a quello che facciamo durante la giornata.

Quindi è chiaro che questo cambia se siamo stati seduti tutto il giorno davanti ad una scrivania oppure abbiamo fatto dell’attività fisica.

Ad ogni modo, va detto che non esiste una regola universale sulle ore di sonno di cui una persona abbia bisogno, ma queste variano in base alla durata e qualità di ciascuno di noi.

Ad esempio per alcuni, l’ora di andare a letto corrisponde al momento di pianificare la giornata successiva.

Ricordate che una eccessiva attività mentale impedisce l’addormentamento!

Stessa cosa per le preoccupazioni e i pensieri negativi che generano emozioni negative attivando così il nostro corpo e la nostra mente.

Per addormentarci abbiamo bisogno, quindi, di essere rilassati.

Le nostre funzioni vitali devono rallentare, la nostra respirazione deve farsi più lenta, i nostri muscoli si devono rilassare, il nostro cuore deve ridurre i battiti ed il nostro cervello deve smettere di lavorare velocemente.

9 indicazioni per migliorare il nostro sonno

Per non soffrire di insonnia potete mettere in pratica ogni giorno delle piccole abitudini.

  1. Per prima cosa evitate di prendere caffè prima di andare a dormire. La caffeina la trovate nel caffè, the, in alcuni farmaci, nella coca-cola e nella cioccolata. Assunti prima di andare a dormire questi possono provocare dei risvegli notturni o comunque ridurre gli stadi del sonno profondo.
  2. Evitate di bere alcool nelle due ore prima di andare a letto. L’alcool è un sedativo ma rende il sonno più leggero e quindi sono più facili i risvegli. Inoltre, diminuisce la fase Rem, quindi sogniamo meno.
  3. Evitate di fumare nelle due ore prima di andare a letto. La nicotina è uno stimolante proprio come la caffeina.
  4. Evitate di dormire al pomeriggio, anche se dovete recuperare del sonno questa abitudine contribuisce a mantenere il problema dell’insonnia. Dovete sapere che dormire il pomeriggio scombina il nostro orologio interno. Se proprio non potete farne a meno, questo non può durare più di mezz’ora e deve essere fatto entro le 3 del pomeriggio e distesi sul letto.
  5. Fare Esercizio fisico. Un regolare esercizio fisico leggero giova al sonno. Basta una mezz’oretta al giorno di corsa leggera, una passeggiata a passo svelto, cyclette o qualche esercizio di ginnastica per tenere allenato e sano il vostro cuore e migliorare il vostro sonno. Evitate di fare esercizio fisico nelle due ore prima di andare a dormire.
  6. Evitate di abbuffarvi e di bere molti liquidi prima di andare a letto. Questo perché la digestione sarà più lenta e ci metterete più tempo ad addormentarvi.
  7.  Usate tappi per le orecchie se percepite molti rumori notturni in casa.
  8. Cercate di mantenere la temperatura della camera tra i 18 e 20 gradi
  9. Infine, Ricordate di chiudere bene le tapparelle per non fare entrare troppa luce al mattino presto.

Queste sono alcune indicazioni che vi possono aiutare a sconfiggere l’insonnia e quindi a dormire meglio.

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Sindrome da rientro: cos’è e come superarla!

Soffrite di sindrome da rientro o quella che viene chiamata post-vacation blues?

La sindrome da rientro può essere intesa come una condizione di malessere psicologico e fisico che si avverte alla fine dell’estate, quando bisogna rientrare nella nostra solita routine.

Insomma, quando lasciamo i luoghi, i ritmi e le attività gratificanti delle vacanze per riprendere i nostri impegni e le nostre scadenze.

Fate bene attenzione però la sindrome da rientro non è una patologia ma semplicemente una reazione psicofisica allo stress e può riguardare qualsiasi età!

Dovete sapere che secondo numerose ricerche, tra cui quella dell’Istat lo stress da rientro riguarda un italiano su 10, con questo i benefici delle vacanze vengono subito cancellati appena riprendiamo la nostra routine quotidiana.

Secondo lo psichiatra Claudio Mencacci, in Italia questa sindrome colpisce circa il 35% della popolazione con maggiore incidenza tra i 25 e i 45 anni.

Facendo i calcoli più di un italiano su 3 somatizza questo rientro dalle vacanze.

Questo meccanismo che scaturisce dal sistema ipotalamo-ipofisi-surrene, si manifesta con vari sintomi ed è passeggiero, dura circa una settimana.

Esistono però anche casi dove si vedono problemi più latenti e seri che permangono nel tempo sfociando poi in veri e propri disturbi di ansia e depressione.

I sintomi della sindrome da rientro:

I sintomi dal rientro delle vacanze possono essere diversi:

  • sensazione di spossatezza e affaticamento,
  • difficoltà di concentrazione,
  •  mal di testa,
  • dolori muscolari,
  • disturbi della digestione,
  • del sonno,
  • irritabilità,
  • ansia,
  • tensione,
  • sbalzi d’umore,
  • malinconia,
  • tristezza,
  • senso di vuoto.

Alcuni suggerimenti per fronteggiare lo stress da rientro

  • Per prima cosa, riprendete con gradualità le attività lavorative concedendovi un periodo di “assestamento” prima di tornare al regime della routine quotidiana.
  • Partire con l’affrontare gli impegni meno complessi.
  • Introducete alcune abitudini salutari come ad esempio riprendere il normale sonno-veglia; bevete molta acqua e riducete il consumo di caffeina e di alcolici.
  • Praticate la mindfulness.
  • Dedicate del tempo a voi stessi: ritagliatevi uno spazio per le piccole attività che vi gratificano (una passeggiata con amici, andare dal parrucchiere…)
  • Praticate attività fisica, lo sport è molto importante per scaricare le cattive energie ma basta anche una passeggiata per rilasciare le endorfine e favorire il buonumore.
  • Ponetevi un obiettivo.
  • Coltivate dei pensieri positivi magari organizzare una piccola gita fuori porta nei prossimi mesi!

Insomma, non preoccupatevi se soffrite da sindrome da rientro è abbastanza normale, l’importante è affrontarla!

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EMDR: che cosa è e a cosa serve?

Oggi voglio parlarvi, di un nuovo argomento, l’EMDR ossia Eye Movement Desensitization and Reprocessing.

Dopo la scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale ho deciso di formarmi anche su questo metodo terapeutico chiamato EMDR.

Come dicevamo è un metodo terapeutico di evidence-based che permette l’elaborazione dei ricordi traumatici immagazzinati in modo disfunzionale all’interno del sistema di memoria.

Questi, costituiscono poi la base della psicopatologia.

A questo punto, è doveroso e necessario chiarire che cosa si intende per trauma psicologico e quale sia l’impatto sulla vita di un individuo.

Dovete sapere che non è ancora del tutto chiaro quali siano le caratteristiche che possono rendere traumatico un particolare evento.

Tanto meno quali siano i meccanismi che conducano alcuni individui a manifestare esiti psicologici dopo un determinato evento, mentre ad altri non succede.

Va comunque ricordato che non tutti gli eventi difficili della vita sono da considerarsi di per sè traumatici.

Quello che contribuisce a definirli come tale è l’impatto che questi esercitano sull’individuo che li subisce.

Comprendiamo tutto questo meglio:

Dobbiamo fare una prima distinzione tra il concetto di trauma e quello di stress traumatico.

Selye (1976) ha definito lo stess come una reazione aspecifica del nostro organismo nei confronti di uno o più agenti stressanti.

Questa risposta di stess nello specifico, che noi condividiamo con gli animali, è una reazione automatica alla percezione di eventi esterni come particolarmente attivanti ma che non necessariamente devono essere considerati come disadattivi.

Pensiamo, ad esempio, alla paura!

Questa è un emozione primaria fondamentale per la nostra sopravvivenza ed è proprio grazie ad essa che riusciamo a difenderci dal pericolo.

In questo caso, quello che viene considerato disfunzionale è la risposta di stress in seguito ad un evento che viene percepito da noi come imprevedibile, ossia fuori controllo.

Questo può avere un forte impatto sul benessere e sulla qualità di vita!

Il termine trauma indica una sensazione di frattura che l’individuo percepisce all’interno della sua quotidianità e nella vita che conosceva fino a quel momento.

Infatti, a seguito di un evento traumatico, l’individuo non sarà più lo stesso e sperimenterà un divario tra quello che era prima dell’evento traumatico e tutto ciò che si verifica dopo questo.

Secondo Van Der Kolk (1996), l’evento traumatico deve essere inteso come un evento stressante, dal quale non ci si può sottrarre e che supera o domina le capacità di resistenza del soggetto.

Questa situazione può essere ricondotta ad un avvenimento isolato oppure ad una condizione che si perpetua nel tempo.

Ma quello che caratterizza il trauma psicologico è l’impossibilità dell’individuo di reagire efficacemente ad una minaccia.

In quanto si tratta di un evento che non è emotivamente sostenibile da parte di chi lo subisce.

Il per il DSM le tipologie di traumi con la T maiuscola sono: aggressioni, catastrofi ambientali, lutti improvvisi, ecc.

Ossia, tutti quegli eventi che possono avere delle importanti ripercussioni su chi li subisce, arrivando anche a compromettere la loro qualità di vita.

L’osservazione e la pratica clinica, però, ci dicono che alcuni eventi come essere stati oggetto di critiche con momenti di svalutazione o umiliazioni, possono portare alle stesse reazioni post-traumatiche degli eventi sopra citati.

Esperienze simili, che nella letteratura scientifica vengono definite con la t minuscola, intaccano la fiducia in se stessi e il proprio senso di autoefficacia.

Questo porta, quindi, l’individuo a sviluppare una visione di sé e del mondo ristretta e limitata.

Possiamo inoltre dire, che rientrano in questa categoria anche quelli che vengono definiti come “traumi relazionali” (Schore, 2003, 2009).

Ossia, quelle esperienze disfunzionali vissute all’interno di relazioni interpersonali che possono generare delle forti emozioni di impotenza e vergogna.

Inoltre, possono essere associate allo sviluppo di credenze negative su di sé come, ad esempio, “non sono amabile”, “non valgo”, “non sono importante”.

È essenziale quindi ricordare che tanto più un evento traumatico è precoce, tanto maggiori e più profonde potranno essere le sue ricadute sulle traiettorie di sviluppo di un individuo.

Concludendo, l’EMDR parla il linguaggio del trauma e permette di accedere a tali memorie traumatiche in modo diretto.

Questo perché lavora sullo stesso livello neurofisiologico in cui i ricordi di questi eventi sono rimasti intrappolati.

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Federica OrlandiEMDR: che cosa è e a cosa serve?
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La felicità: sapete esattamente cosa vuol dire questa parola?

Felicità:  sapete esattamente cosa vuol dire questa parola?

Bene, dovete sapere che una delle risposte più frequenti che mi viene data durante una terapia alla domanda:

“Cosa ti aspetti da questo percorso e quali obiettivi hai?”

E’ la felicità. Insomma, si vorrei essere felice!

Possiamo dire che tutti vogliono essere felici ma che cos’è esattamente la felicità?

Ma sappiamo realmente cosa vuol dire questa parola dato che la ritroviamo spesso, sulla bocca di tutti, fin da quando siamo piccoli?

Queste sono solo alcune domande che ci poniamo su questo vastissimo tema.

Molti di voi, potrebbero dirmi, è così che ci è stato insegnato fin da piccoli perché tutte le favole finiscono con …. e vissero felici e contenti!

Ma perché non accade anche a noi.

Ecco, allora, che le cose si complicano perché la felicità ha due significati diversi:

Quello più comune riguarda il fatto di sentirsi bene, di provare quella sensazione di piacere.

Dobbiamo però dire che come tutte le emozioni umane, anche la sensazione di felicità non è duratura.

Il secondo significato di felicità, sul quale vorrei soffermarmi maggiormente a riflettere con voi, è quello che rappresenta il vivere una vita ricca, piena e significativa che ci fa agire secondo i nostri valori.

Ammetterete insieme a me, che una vita vissuta in questo modo, vi darà sicuramente molte sensazioni piacevoli, ma allo stesso modo ci donerà anche quelle spiacevoli, come ad esempio la tristezza, la paura o la rabbia.

La verità, che vi piaccia o no, è che la vita comprende anche queste emozioni compreso il dolore e non possiamo evitarlo.

Questo significa che alternato alla felicità avremo anche, in un modo o nell’altro, dei pensieri e dei sentimenti dolorosi.

Quello che sto cercando di dirvi, e quindi la buona notizia, è che non possiamo evitare il nascere di questo dolore ma possiamo imparare ad affrontarlo meglio.

Possiamo imparare a crearci una vita che valga la pena di essere vissuta!

Progetto senza titolo (1)I passi per sfatare i miti della felicità

Il primo passo che dobbiamo fare, quindi per imparare a gestire il dolore, è quello di iniziare ad identificare e quindi a sfatare quali sono i miti della felicità.

Pensiamo a questa frase:

  • La felicità è la condizione naturale di tutti gli esseri umani!

Questo è sicuramente un falso mito della felicità.

La cultura odierna si ostina a sostenere che l’uomo sia felice per natura.

Pensate a tutti i film, le serie tv, i libri che hanno per finale la felicità dei protagonisti; il bene che trionfa sul male!

Secondo voi, è verosimile? Questo corrisponde alle vostre esperienze di vita?

Bene, ora vi dico che i dati riportano che in realtà 1 adulto su 10, tenta il suicidio almeno una volta nella sua vita e che 1 su 5 soffre di depressione.

Come potete vedere non ci sono finali di felicità, ma purtroppo grazie a questo falso mito, le persone vanno in giro pensando che tutti siano felici, eccetto loro.

Questa loro convinzione, radicata anche grazie ai film e serie tv, genera ancora più infelicità.

Il secondo mito da sfatare è questo:

  • Se non sei felice hai qualcosa che non va!

Come dicevamo anche prima, la nostra società ritiene che la sofferenza sia qualcosa di anormale, viene infatti considerata una debolezza.

Questo vuol dire che quando abbiamo pensieri o delle emozioni dolorose, ci rimproveriamo per la nostra debolezza.

In realtà questi sono i normali processi di pensiero della nostra mente!

Quello che sto cercando di dirvi è che non siete difettosi ma la vostra mente sta facendo quello che l’evoluzione l’ha portata a fare.

  • Per avere una vita migliore dobbiamo sbarazzarci dei sentimenti negativi!

Tutte quelle cose che generalmente rivestono un ruolo importante nella nostra vita implicano un’intera gamma di sentimenti. Questi possono essere sia spiacevoli che piacevoli.

Ad esempio, se pensate ad una relazione sentimentale stabile questa potrà farvi provare delle sensazioni stupende come l’amore e la gioia, ma vi procurerà anche delusione e frustrazione.

Un altro esempio nella vita lavorativa o personale sono i progetti importanti, questi ci danno una grande energia e del forte entusiasmo, ma allo stesso tempo comportano anche ansia e stress.

Tutto questo è per dirvi di non credere ai miti sulla felicità, perché sono solo nocivi per voi.

Quello che dovete fare per cercare di crearvi una vita il più possibile migliore è quello di essere in grado di provare e soprattutto accettare le emozioni spiacevoli.

Solo così potrete essere veramente felici!

 

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Federica OrlandiLa felicità: sapete esattamente cosa vuol dire questa parola?
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Gestire l’ansia: 3 suggerimenti utili!

 

Oggi voglio parlarvi di come gestire l’ansia dato che nel precedente articolo, che potete leggere cliccando qui, abbiamo spiegato che cos’è!

Come gestire l’ansia è una delle prime domande che mi fanno i pazienti quando iniziano una terapia, ma non è così facile rispondere.

L’ansia si gestisce attraverso un percorso con un professionista che ci aiuta a capire quale sia la vera causa che procura questo fenomeno.

Ma possiamo comunque dire che ci sono alcuni suggerimenti utili a gestire l’ansia e io ve ne elencherò 3 in questo articolo, che magari potranno esservi utili.

3 SUGGERIMENTI UTILI PER GESTIRE L’ANSIA:

  1. Evita di evitare. Il primo suggerimento utile per gestire l’ansia è proprio evita di evitare.

Quando evitiamo una situazione difficile inizialmente avvertiamo una diminuzione dell’ansia. In realtà, però, più evitiamo una situazione e più ansiosi diventiamo all’idea di doverla affrontare in futuro. In questo modo, a lungo andare, l’evitamento rafforza l’ansia perché contribuisce a convincerci che i pericoli che temiamo sono gravi e noi non sappiamo contrastarli. L’ evitamento aumenta l’ansia per 3 motivi:

  • Non avvicinandoci a ciò che ci spaventa non abbiamo, quindi, l’opportunità di imparare dei modi per tollerare l’ansia.
  • Non impariamo ad affrontare la situazione che ci spaventa.
  • Non abbiamo l’opportunità di scoprire che la situazione non è così pericolosa come pensiamo.

Insomma, in sintesi il consiglio per gestire l’ansia è affrontare le nostre paure ed imparare così ad esporci alle diverse situazioni.

 

2. Riconosci i pensieri attivanti. Un altro suggerimento per gestire che voglio darvi è quello di ricordarvi che i pensieri e le emozioni sono tra loro legati. Un pensiero riguardante un evento difficile può generar un’emozione a sua volta difficile come l’ansia, viceversa, uno stato d’ansia può essere all’origine di pensieri negativi. Quindi, i pensieri dettati dall’ansia sono diretti al futuro e spesso prevedono catastrofi, spesso iniziano con “e se succede che…”

Lo scopo, in questo caso, non è quello di eliminare o sopprimere i pensieri che generano ansia, ma accettarli per quello che sono: solo pensieri. Invece, molte volte, prendiamo i pensieri molto sul serio, quasi come se fossero dati di fatto, ed è una cosa sbagliata.

Focalizzarsi sui pensieri negativi porta la persona nel tempo, ad attivare una modalità ansiosa caratterizzata da costante agitazione e irrequietezza che spesso provocano disagio e malessere.

 

3. Imparare tecniche di rilassamento. Infine l’ultimo utile suggerimento che vi do per gestire l’ansia sono le tecniche di rilassamento. Queste sono utili per imparare a ridurre le reazioni fisiche dell’ansia. Una tecnica che può essere utile è quella del respiro. Ecco i seguenti passi da fare:

  • respira profondamente con la pancia, rallenta il ritmo del ciclo di inspirazione e di espirazione (in media 5-6 respiri al minuto) e fai inspirazioni più lunghe delle inspirazioni (per esempio inspira per 4 secondi ed espira per 8 secondi).

Ora, se vi sentite ansiosi quello che dovete fare è provare a rileggere questi tre suggerimenti per gestire l’ansia e metterli in pratica.

Sicuramente, vi sentirete meglio!

 

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Federica OrlandiGestire l’ansia: 3 suggerimenti utili!